Favignana, i Funerali di Jachino Cataldo: Se Ne Va l’Ultimo Rais

 Si sono svolti oggi a Favignana i funerali di Gioacchino “Jachino” Cataldo. L’ultimo rais di Favignana. Chiesa madre gremita per l’ultimo saluto ad una leggenda vivente. Oggi nelle Egadi è lutto cittadino. Tra il pubblico anche Donatella Bianchi, la conduttrice di Linea Blu, che più volte aveva intervistato Cataldo, storico conoscitore della pesca del tonno. 

All’uscita del feretro i tonnaroti hanno intonato la cialoma, il tipico canto che accompagna il rito della mattanza, guidati da Salvatore Spataro, ex vice rais. 

Alberto Stabile, inviato di Repubblica, che vive a Favignana, il giorno dopo la morte di Cataldo ha scritto un bellissimo pezzo. Eccolo:

L’isola è a lutto. La scorsa notte se n’è andato uno dei protagonisti della grande epopea del tonno, Gioacchino Cataldo, 77 anni, “Jachino” per gli amici e i compagni della tonnara, l’ “ultimo Rais” per i turisti che, da quando la mattanza è diventata un lontano ricordo e l’ex Stabilimento Florio riconvertito in una magnifica testimonianza d’archeologia industriale, portava sulla sua barca a fare il giro delle grotte e delle cale. Jachino, e chi non lo conosceva quel Ciclope gentile dalla barba incolta e dall’accento nordico, retaggio del suo passato d’emigrante prima nel Nord Italia e poi in Germania, quando neanche la tonnara in piena attività, bastava a mettere insieme il pranzo con la cena? Sempre cordiale e disponibile, “Jachino” , ovvero “il Rais”, s’era guadagno un posto di spicco tra i favignanesi passati, non senza rimpianti, dal duro lavoro alla tonnara alla caotica industria dell’accoglienza. La sua affezionata clientela spaziava. Era d’obbligo incrociarlo su tutte le rotte attorno all’isola con la sua barchetta di legno piena di turisti. E, immancabile, arrivava il saluto con due colpi di sirena. Ma, come succede a quasi tutti i favignanesi della sua generazione la testa e il cuore di “Jachino”erano rimasti là, dentro ai grossi cancelli arrugginiti della Camparìa, l’antica tonnara dalle immense volte crollate, o oltre il muro di tufo sbrecciato dell’ottocentesco ex Stabilimento Florio. Lui, quel portone di legno massiccio sbiancato dalla salsedine l’aveva varcato per la prima volta a 14 anni, diretto alla sezione inscatolamento, per esser poi arruolato tra i tonnaroti, i pescatori addestrati a fronteggiare il rischio e a sopportare immani fatiche. Nella tonnara ci sarebbe rimasto per 44 anni. Fra la manodopera dello Stabilimento “Jachino” primeggiava per doti fisiche e arguzia. Ma nessuno, forse neanche lui stesso, avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventato il Rais, il capo, come dice la stessa parola in arabo. Il quale, nella tonnara, è più di un semplice capo. Al Rais non si richiedono soltanto doti di comando. Il Rais è l’uomo delle decisioni definitive, quando calare la lunga e complessa trama di reti che formano la tonnara e quando ordinare la mattanza che guida da una barca sbattuta dalle onde e dai colpi di coda dei tonni al centro della cosiddetta “Camera della morte”. E’ un manager che gode della fiducia della proprietà e al tempo stesso è un Gran sacerdote chiamato ad interpretare i segni. Sà tutto del mare, dei venti, delle correnti. Ma come l’ultimo dei marinai aggrappato al suo destino prima di ogni decisione importante non esita a chiedere la protezione dei santi. “In passato ci sono stati Rais che non sapevano né leggere né scrivere, ma conoscevano a memoria ogni minimo dettaglio della tonnara: quante ancore, quanti galleggianti, quanti metri di cima occorrevano, e, per non perdere la memoria delle cose ,chiedevano ai figli scolarizzati di trascrivere questi dati su fogli di carta che all’occasione riprendevano in mano”, racvonta Maria Guccione, la nota ex ristoratrice (protagonista assieme alla sorella Giovanna della riscoperta della cucina siciliana di mare) sempre più depositaria della memoria storica dell’Isola. Un lavoro di questo tipo, basato com’è su un mix di conoscenza empirica ed esoterismo, esperienza ed improvvisazione, non lo si può che tramandare di padre in figlio. Ma “Jachino” non apparteneva all’aristocrazia della pesca. Quello che sapeva lo aveva imparato, da semplice tonnaroto, stando alle costole del rais Hernandez quando, dopo la parentesi in Germania, non riuscendo a rinunciare alla sua isola e al suo lavoro (“il tonno – diceva – ce l’ho nel sangue”) torna a Favignana e alla tonnara. Agli inizi degli anni 90 la pesca del tonno, in generale, ed in Sicilia, in particolare, sta per diventare un settore in crisi. Scioperi, assemblee, manifestazioni. I tonnaroti favignanesi cercano di prendere in mano il loro destino e il più combattivo di tutti in questa battaglia per la sopravvivenza di un patrimonio che non è soltanto economico, ma culturale e comunitario è “Jachino” che, assieme ad un altro leggendario pescatore, Clemente Ventrone, dalla lunga chioma bionda e dai muscoli d’acciaio, costituiscono una cooperativa di 13…
[leggi su tp24.it]

Condividi: Facebook Twitter

Dì la tua

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *