Mozia, l’Unesco e Lino Banfi

Dici Sicilia e pensi alla cultura. Possiamo vantare due premi Nobel per la letteratura (Quasimodo e Pirandello) e una varietà di autori che comprende Verga, Sciascia, Consolo, Bufalino, Tomasi di Lampedusa, Vittorini, Brancati e Camilleri (solo per citarne alcuni). Abbiamo sette siti (lo stesso numero dell’intero Egitto) che sono stati proclamati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità: la Valle dei Templi, la Villa del Casale, le isole Eolie, la Val di Noto, Siracusa con la necropoli rupestre di Pantalica, l’Etna e il percorso arabo normanno che congiunge Palermo a Cefalù. Altri due siti fanno parte di un elenco di candidati su cui nei prossimi giorni dovrà pronunciarsi la Commissione: si tratta di Taormina e Mozia. Senza nulla togliere alla località messinese, che pure meriterebbe un riconoscimento, è inutile dire che il nostro supporto incondizionato va proprio all’isola dello Stagnone, che per la sua storia e la sua collocazione rappresenta veramente un unicum in un contesto mozzafiato da un punto di vista paesaggistico. Per chi vive in questo territorio, così come per chi lo ha visitato per qualche giorno, lo Stagnone e Mozia sono già Patrimonio dell’Umanità. All’alba o al tramonto, d’estate o d’inverno, con i fenicotteri rosa o senza, poco cambia: si tratta di un tratto di terra e di mare che ha tutte le carte in regola per sbaragliare qualsiasi concorrenza. Nel tempo, non sempre questa causa è stata adeguatamente sostenuta, come spesso è avvenuto per tante cose che avremmo dovuto valorizzare e che sono state penalizzate da incuria, superficialità e dabbenaggine.

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