Non sembrava possibile che un terremoto di energia potesse soccombere ad un microscopico virus ma Lelio Giannetto non ce l’ha fatta e stanotte il Covid se l’è portato via ad appena cinquantanove anni. Col suo “contrabbasso parlante”, ingombrante ma imprescindibile appendice cui stava sempre avvinghiato in un simbiotico rapporto emotivo, Giannetto era davvero un terremoto, era l’epicentro di scuotimenti sismici generati di continuo dalla frizione di zolle musicali e concettuali assai diverse: il jazz e la tradizione popolare, la musica classica e il rock, il blues e la tarantella, la canzonetta e l’avanguardia più radicale, la pagina scritta e l’improvvisazione istantanea, lo sberleffo più sfrontato e la commozione più intima. Il suo intento, tanto ardito quanto visionario, era quello di rifondare il concetto di musica contemporanea con l’abbattimento di ogni steccato stilistico e di genere e forse in ciò non doveva essergli stato estraneo l’esempio, seppure non vissuto direttamente per ragioni anagrafiche, di ciò che negli anni Sessanta era accaduto proprio a Palermo con le “Settimane internazionali Nuova Musica”.
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