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Nicola Gratteri riavvolge la storia fino a un passato lontanissimo, Favignana e i suoi prigionieri politici, che facevano da maestri ai «picciotti» quando erano rozzi ladri di polli. E così in Italia nacquero le mafie. Aneddoto dopo aneddoto, risale lungo i secoli. Racconta della sua passione per la ricerca negli archivi di Stato, «luoghi sconosciuti ai più, ma vere miniere». Si rivolge a una platea di studenti, dunque lascia spazio al tema della formazione, con qualche accenno autobiografico: «Mi ritengo fortunato a essere nato in una famiglia umile. Mio padre aveva la quinta elementare, mia madre la terza, ma hanno avuto l’intelligenza di farmi studiare e darmi un’educazione rigida». Essere cresciuto in Calabria, poi, lo ha aiutato a conoscere il nemico: «Quando andavo alle medie, da Gerace scendevo a Locri con l’autostop e mi è capitato più volte di vedere per strada dei morti. Mi è capitato anche di vedere davanti a scuola i figli dei capimafia comportarsi da bulli».

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